"Lo sviluppo tecnologico dei media - e più in generale delle tecnologie immateriali, biogenetiche e "nano" - sta annullando il tempo in vari modi. Assottiglia le distanze e differenze temporali nello spazio dei corpi e dell'esperienza vissuta. Si tratta di un processo che, stando alla periodizzazione occidentale in cui siamo ancora calati, ha avuto inizio con la mondanizzazione del mondo ad opera dell'agire sociale, con l'abbandono del tempo ciclico delle culture orali, con la potenza delle religioni e dei regni che hanno dato inizio alla linearità della storia, accellerando il tempo a misura dell'organizzazione dell'abitare, dei suoi modi di produzione e consumo, dei suoi ritmi di vita, dei suoi bacini di memoria e di futuro. Si tratta di un processo che - dopo le grandi manipolazioni tecniche del tempo e dello spazio messe in opera dalla fotografia, dal cinema e dalla radio - vive il suo compimento nello snodo tardo-moderno della televisione generalista, là dove il mondo come spazio si fa locale (la dimora), nazionale (l'immaginario di una nazione), mondiale (l'immaginario dei mercati multinazionali) e il tempo si fa individuale e insieme collettivo, intimo e insieme pubblico. E' questo il culmine di una società dello spettacolo che, germinando delle sue radici esperienziali nei territori sempre più informi della metropoli, si è trasformata nella contemporaneità della tele-visione.
Qui, di fronte al televisore e dunque assai prima di ciò che accadrà di fronte al monitor del computer, ha avuto inizio una nuova e clamorosa trasformazione antropologica, una nuova antropomorfizzazione del vivente. Come il corpo umano fu alle origini il risultato di una manipolazione della carne - dell'animale e dell'animato - dilatata in un tempo immemoriale e inconsapevole, così il corpo del soggetto moderno manipola la propria natura. Transitando dalle dimensioni identitarie agite nella cornice della città (qui si dispana la storia della società civile, della politica e insieme dell'arte del Rinascimento agli anni Trenta del Novecento) a quelle agite sempre di più nell'intrattenimento mediatico, si infrangono i confini tra il tempo di lavoro e il tempo libero, tra il tempo interiore e il tempo sociale. A sua volta il tempo biologico dell'essere umano lascia spazio ad una vita vissuta che non ha età: l'infanzia occupa gli immaginari adulti e senili; la storia si dissolve nell'infanzia.
Dunque è già con la TV che il mondo tende a presentificarsi: gli schermi fanno da soglia tra il locale e il globale, tra il sé e il mondo. Attraverso gli schermi, l'immaginario capitalizzato e prodotto dall'industria culturale consente un abitare in cui le persone vivono e comunicano mediante simulacri collettivi. Ogni mitologia, arte, esperienza e funzione del viaggiare è stata assorbita e polverizzata dalle televisizzazione della società. Ora - è importante ripeterlo - la società delle reti esaspera ciò che era già implicito nelle democrazie di massa governate dalla televisione generalista: il conflitto tra persona e collettività, tra processi di ordinamento identitario e moltitudini, ruoli e desideri.
I new media sono nella tipica fase in cui i decisori, i testimoni i testimoni e i controllori - anche gli artisti sono infissi in queste figure del potere - negoziano il significato da dare all'innovazione tecnologica, e cioè decidono, testimoniano e controllano il contenuto da dare alla transitività dei dispositivi mediali. l'ondata dei new media sta crescendo e tuttavia la grande onda dei mass media ancora non si è spenta: trascina con sé - e travolgendo innalza o fa partecipare - tutti i detriti delle forme di sovranità ancora infisse nel viaggio dei viaggi: il dio che si mostra all'umano e l'umano che si mostra a dio.
E' dunque assai rilevante scegliere tra il tempo e lo spazio. Rilevante in ogni campo: nell'agire politico e professionale. Nell'agire le forme d'arte molteplici di cui le società storiche e quelle emergenti dispongono in varia misura e in vari modi (quell'arco di apparati, istituzioni dispositivi e luoghi dell'arte che a volte connette e a volte sconnette esperienze ormai tra loro persino incompatibili, come quelle dovute alle retoriche sulle funzioni museali o sulla creatività urbana o sulla pubblic art). Così come è rilevante nell'agire delle imprese e dei mercati: là dove le retoriche sul passaggio dalle culture della produzione (un paradigma in cui la modernità della fabbrica ha allineato, seppure dialetticamente, sia la produzione delle automobili che quella delle opere d'arte) alle culture del consumo, al consumatore-produttore stanno trasformandosi in elogio - tutto ruota sull'annuncio di web 2.0 - dei processi innovativi che vengono dal basso (o al basso sono affidati). E sono forme specifiche del viaggiare anche i dispositivi concettuali che sono passati dal modello della socializzazione politica dello stato - fondata su processi verticali dell'istruzione e della divulgazione che procedono dall'alto verso il basso - al modello estetizzante della socializzazione pratica attraverso le merci e il mercato, tendente invece a instaurare delle dinamiche dall'alto verso il basso e dal basso verso l'alto ( si pensi alle mode dell'abbigliamento) e infine il modello tecnologico inaugurato dalle avanguardie storiche (dal Futurismo al Surrealismo) e in cui l'esperienza del consumo destruttura le forme chiuse (stato, identità, arte) e finisce per promuovere dinamiche laterali - centrifughe - rispetto alla rigidità della dialettica tra alto e basso (quella dialettica che aveva trovato il suo apice divulgativo più eroico nel trasferimento delle metafore ebraiche e cristiane applicate all'alpinismo e al turismo sportivo).
Decisivo a mio avviso il salto da una sensibilità vincolata alla memoria del passato a una sensibilità liberata al presente, poiché è qui che si raccolgono le discriminanti oggi più forti tra spirito della conservazione e spirito dell'innovazione, tra sopravvivenza come museificazione e sopravvivenza come mutamento. Come differenza. Qui si gioca la possibilità di trovare contenuti adeguati ai mezzi di cui dispongono le nuove tecnologie. Qui si conquista la capacità di negoziare il senso, invece di asservirle ai vecchi modi di vedere il mondo. Se, come io credo, la comunicazione è innanzi tutto relazione, la dimensione che più si avvicina a questo sentire è quella differenza dell'abitare, dunque non si tratta di ricorrere ancora alle dialettiche che giocano tra il dentro le mura e il fuori le mura, o tra la montagna e la valle."

Tratto da NON VIAGGIARE PIÙ ALTROVE di Alberto Abruzzese, Wok City Map, GAM Gallarate, edizione speciale 2008

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